domenica 26 ottobre 2008

Finalmente la piazza

Era dai tempi della manifestazione sindacale in difesa dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che non si vedeva tanta gente sfilare per le vie di Roma. Persone di ogni età, estrazione sociale, razza, colore, tutte insieme per dire basta al governo Berlusconi.
Nella mattinata avevo recuperato un paio di bandiere da fornire ai nipotini anti Gelmini e alle 13.30 ho preso l’ultima corsa del bus 75 che alle 14.00 in punto ci ha lasciato davanti la stazione Termini. Giusto in tempo per vedere la partenza del corteo.
Avevo appuntamento con un gruppo di amici umbri, che aveva affittato un pulman per raggiungere Roma. Li abbiamo rintracciati sotto il cartello del circolo del PD di Pontevalleceppi issato su di una canna da pesca telescopica di almeno 7 metri d’altezza.
Considerando la massa di persone presenti in Piazza Esedra, abbiamo deciso di prendere delle scorciatoie per evitare di farci sorprendere in strada all’inizio del comizio di Veltroni. E così a Piazza Esquilino abbiamo lasciato il corteo per proseguire su Via Urbana.
A forza di tagliare siamo arrivati al Circo Massimo intorno alle 15.30 e ci siamo sistemati a metà del catino.
Lo spettacolo era già impressionante. Sulle pendici dell’Aventino una massa uniforme di persone occupava ogni centimetro quadrato. Sul prato tante persone con migliaia di bandiere che coloravano di rosso e verde il cielo di Roma.
Abbiamo assistito ai primi interventi dal palco. Molto applaudito quello del ragazzo nero di Casal di Principe e del sindaco di Gela. Poi cinque minuti prima delle 17.00 è arrivato Veltroni.
Il Circo Massimo ormai è stracolmo. Ottocentomila, due milioni, due milioni e mezzo. Tanti in ogni caso, ma mai duecentocinquantamila come dice, in maniera provocatoria, la questura.
Veltroni ha parlato al cuore della gente, attaccando in maniera diretta il governo di centro-destra, incapace di rappresentare la vera Italia, quella che merita un futuro migliore di quello che rischia di vivere e il suo leader Silvio Berlusconi, con i suoi problemi con la giustizia e il suo rapporto “particolare” con la democrazia. Ma facendo al contempo proposte concrete come quella di detassare le prossime tredicesime dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, o la costituzione di un fondo di garanzia a sostegno delle micro e piccole imprese. Proposte che richiamano tutte la frase di Vittorio Foa che campeggiava sul palco: “Pensare agli altri, oltre che a se stessi, e pensare al futuro, oltre che al presente”. E che riecheggiano la possibilità di un’altra Italia: della legalità, e non della furbizia. Della responsabilità, e non dell’esclusivo interesse personale. Del merito, e non dei favori. Della solidarietà, e non dell’egoismo. L’Italia dell’innovazione, e non della conservazione.
Dopo un’ora, prima che dai nuvoloni neri, che nel frattempo si erano addensati, iniziasse cadere la pioggia, è partito l’inno nazionale cantato in coro da tutti.
Saluti, abbracci e un arrivederci alla prossima.
Certo però quando si finiva con l’Internazionale…..

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Decisamente l'Internazionale era più bella.. Come le bandiere rosse.